Bart e il palio di siena
Non appena varcò l’ingresso della città, si ritrovò completamente avvolto da quell’inspiegabile e travolgente emozione che si percepisce all’arrivo di un evento atteso da molto tempo. Ogni cosa era immersa in un’eccitazione così forte, che per un attimo, il signor Bert pensò di essere finito dentro uno dei suoi romanzi preferiti, dove l’inizio è sempre caratterizzato da un avvenimento elettrizzante. La città, la gente, tutto e tutti erano concentrati su un’unica cosa: lo storico palio di Siena.
Dovunque guardasse, incontrava un arcobaleno di colori delle contrade: il nero e l’oro dell’Aquila, il blu del Nicchio, il bianco e il verde dell’Oca, il celeste dell’Onda, il rosso e il giallo della Chiocciola, il bianco e nero della Lupa, il rosso cremisi della Torre, il verde e arancio della Selva … Fazzoletti, felpe e bandiere di quelle tonalità venivano indossati dai senesi con una fierezza da fare invidia ai tifosi delle squadre di calcio; i cori e gli striscioni di questi non erano minimamente comparabili all’orgoglio dei cittadini di Siena per le proprie contrade. I gruppi rivali si lanciavano occhiate di sfida come nei film e i turisti si godevano quegli sguardi divertiti e rapiti allo stesso tempo. I muri e i palazzi della città non erano da meno. Ogni via era stata addobbata con le bandiere della propria contrada che dondolavano solennemente al ritmo delle voci della gente. Di tanto in tanto passavano uomini in calzamaglia con i costumi tradizionali che correvano verso la piazza con urgenza, insieme ad alcuni alfieri o i tamburini che avrebbero accompagnato il corteo del palio. Dopo qualche giro per la città, Bert raggiunse la fila per entrare in Piazza del Campo. Nonostante fosse già ottobre faceva molto caldo ma questo non scoraggiava minimamente la gente in coda ormai da molto tempo; nessuno si sarebbe perso quello spettacolo per qualche grado di troppo o per la lentezza dei minuziosi controlli della polizia.
Finalmente le guardie fecero muovere la fila e, dopo qualche minuto, Bert si ritrovò nella maestosa piazza, sempre più convinto di essere dentro a un romanzo.
I palchi allestiti davanti ai palazzi erano ancora quasi vuoti, mentre dalle finestre ricche di drappi colorati cominciava già ad affacciarsi qualcuno per godersi la vista della piazza non ancora riempita dalla folla. La gente arrivava in continuazione, per niente spaventata dalle due ore di attesa per l’inizio della corsa; Bert alzò lo sguardo: il cielo era limpido, tinto di un bel azzurro intenso che si vede solo in ottobre, perfetto per una giornata come quella. Se ne stette in piedi per un po’, facendo rifornimento di acqua al baldacchino al centro della piazza e poi, lentamente, le varie cerimonie di inizio con il corteo storico cominciarono sotto gli occhi di 50.000 persone impazienti di assistere al vero e proprio palio. Sfilarono le contrade partecipanti, seguite da quelle scomparse (cosa per cui il signor Bert non potè fare a meno di provare una certa tristezza), fino al palio. Sopra al carroccio le comparse più anziane della città, vestite di porpora, il colore del potere, i cosiddetti vegliardi, sorridevano fieri al popolo di Siena e ai turisti, osservandoli con un’antica e imponente autorità, senza nascondere il piacere nei loro volti, tipico di chi riesce a conquistare l’attenzione di un così grande pubblico. Il carroccio era trainato da quattro giganteschi buoi bianchi, ornato dagli stendardi della città di colore bianco e nero; spiccava in mezzo a questi il Drappellone, dello stesso colore del cielo, a simboleggiare il manto della Madonna. Nonostante le mille teste più alte davanti a lui, Bert riusciva a vedere bene tutta la scena, soddisfatto per l’astuzia che aveva utilizzato nello scegliere un posto furbo per godersi al meglio tutto lo spettacolo. Quando il Carroccio completò il giro della piazza, un gruppo di alfieri, uno per contrada, si posizionò ordinatamente davanti al Palazzo Pubblico; l’inizio della corsa ormai, era vicino, lo si sentiva nell’aria, nella tensione e nell’emozione che aumentavano velocemente, travolgendo ogni cosa, rendendola parte di quella tradizione che continuava a vivere da molti secoli.
-Il lancio delle bandiere! Il lancio delle bandiere!- esclamava la gente, – Vede- spiegò uno della torre a Bert , – ora ogni contrada lancerà la propria bandiera in segno di buon augurio; si dice che quella più in alto, sarà la contrada vincente.- Il signor Bert lo guardò estasiato. Si mise in punta di piedi e subito, vide levarsi sopra la folla una bandiera alla volta, tutte accompagnate dalle acclamazioni o dagli insulti dei contradaioli. Un bambino del nicchio vicino a Bert esultò: -Mamma! Mamma! Hai visto quanto è arrivato in alto il nicchio? Hai visto?-
-Ho visto, tesoro! Vedrai che vincerà!-
-Vero che è anche il favorito, eh? Vero?-
-Certo, tesoro, le altre contrade si mangeranno la polvere!-
E finalmente dall’androne del Palazzo uscirono gli eroici fantini, accolti dai propri tifosi, come gli antichi romani acclamavano i più celebri e prodigiosi gladiatori; un’emozione che Bert aveva sempre sentito vicina, proprio come se fosse stato un vero senese: si era messo a urlare, esultare, gridare a squarciagola con un’allegria ed un entusiasmo che solo le più coinvolgenti situazioni riuscivano a fargli uscire.
I fantini si posizionarono vicino al canape, dove il giudice della corsa avrebbe annunciato il loro ordine di partenza; in quel momento, accadde qualcosa di veramente incredibile: 50.000 persone si zittirono all’unisono, immergendo la piazza in un silenzio d’attesa, impazienti di sentire i nomi. Un silenzio straordinario, assordante.
In ogni parte della piazza si udì la voce del mossiere.
– Chiocciola ! –
Grida di protesta e di esultanza spezzarono quel momento a dir poco magico, riportando in vita la piazza. Le contrade una per una furono chiamate tra i canapi, finchè ne rimase fuori soltanto una quella che avrebbe dato il via alla corsa partendo di rincorsa.
Il fantino dell’Oca si posizionò all’ingresso dei canapi, lo sguardo concentrato a scrutare gli avversari. Minuti di tensione e nervosismo, i fantini intenti a mantenere la posizione o a conquistarne una migliore. – Tutti fuori! – gridò il mossiere. E subito, i concorrenti cominciarono a discutere tra loro, a guardarsi, a cercare alleanze per finalizzare la strategia della loro contrada. Grida e insulti di protesta, scoppiarono prontamente con un’energia potente, aggressiva: era il momento dove la competizione, l’importanza di quella sfida era palpabile. Bisognava fare il possibile per vincere o per ostacolare il rivale, senza scrupoli, senza sensi di colpa o ripensamenti; quello, non era posto per i deboli, la paura e il contegno erano semplicemente inammissibili. Il giudice ricominciò a chiamare le contrade secondo l’ordine di partenza. I fantini si lanciavano occhiate minacciose o d’intesa, qualche cavallo cominciava a scalciare. La mossa stava per avere inizio; ecco il fantino dell’Oca, lo sguardo fisso sugli avversari, le mani pronte sulle redini, in attesa del momento opportuno per dare inizio alla battaglia.
Grida e insulti, incitazioni e minacce si levavano in continuazione dalla piazza; Bert riusciva comunque a percepire i colpi degli zoccoli sul tufo.
Con un movimento improvviso, l’Oca si lanciò tra i canapi, le voci si riaccesero ma subito un potente colpo del mortaletto segnalò la falsa partenza. I canapi vennero tesi di nuovo. Un’altra falsa partenza. Le proteste aumentavano così come gli insulti. Grida ed esclamazioni da tutte le parti . L’ansia, la voglia di vincere e sconfiggere il nemico.
Poi, tutt’un tratto, la corsa ebbe inizio. Fu un breve istante, un attimo; una metà della piazza non se ne accorse nemmeno: i cavalli cominciarono a correre sul tufo.
La gente era euforica, ipnotizzata, gli occhi incollati sulle figure dei fantini che passavano veloci sopra le teste. Le persone cominciarono a ruotare sul posto per non perdere neanche un stante della corsa. Alla prima curva di san Martino il fantino della Torre si lanciò dal proprio cavallo verso quello dell’Oca, cadendo insieme a lui sul tufo. La corsa continuò. Quasi alla fine del secondo giro davanti al Casato, accompagnati da urla di stupore e paura, alcuni fantini e cavalli caddero uno sopra all’altro, avvolti da una nube di polvere, soltanto uno rimase in groppa: quello del Nicchio. Un uomo e il suo destriero, a rincorrere i cavalli scossi dei nemici caduti: la sconfitta non era ammissibile.
Un ultimo giro, pochi metri da recuperare. I cavalli correvano ad una velocità che lasciò Bert senza fiato. Sembrava incredibile che quegli animali potessero correre tanto velocemente ma ancora di più, quell’assurda situazione. Ormai, era questione di pochi secondi. Il fantino del Nicchio nerbava il cavallo, lo spronava oltre le sue possibilità con un’energia quasi folle, circondato dalle grida della piazza. Ma il cavallo scosso non si fermava, galoppava inarrestabile. Ecco l’ultima curva, il Nicchio gli era addosso ma quello arrivò alla fine con pochi metri di vantaggio. La piazza esplose in mille voci. Confusione, incertezza: qual era il cavallo vincitore? Davanti al palco dei capitani si levarono alcune bandiere della Tartuca.
Il destriero vincitore, apparteneva a quella contrada!
Ancora una volta, a Bert parve di essere in un mondo immaginario, inesistente, troppo vero e troppo emozionante per essere reale. Intorno a lui la gente rideva, piangeva, insultava, esultava con rabbia o con gioia; abbassava lo sguardo per la vergogna o alzava le braccia per la vittoria, per la gloria. La serietà, la forza e l’energia di quei contradaioli, era un qualcosa di impossibile da descrivere, inimmaginabile nel mondo di oggi, qualcosa che è stato dimenticato, abbandonato. Ma lì, in quella piccola città dalle fattezze medievali nel cuore della Toscana, migliaia di persone avevano una fiamma nel cuore che continuava a vivere da secoli. Uno spirito vero, da fieri combattenti orgogliosi, leali e fedeli alle proprie origini.
Aspetti che il signor Bert non era mai stato in grado nemmeno di immaginare nel mondo indifferente e superficiale in cui viveva; una storia e una tradizione che continuano e continueranno a vivere per sempre nel cuore di una città certa di confidare nella protezione della Madonna, alla quale tutte le corse sono dedicate.